lunedì 6 aprile 2009

La Storia del Prosciutto di Parma


La storia del prosciutto, dalle nostre parti, è antica certamente quanto l'allevamento del maiale, di cui si sono trovate tracce sicure perfino nelle terramare; c'è da chiedersi però in quale epoca lo si consumasse nella sua veste attuale, secondo la definizione dei vecchi dizionari: "coscia del porco salata e conservata in modo che prosciughi, per poi mangiarsi a fette".
I Romani certamente cuocevano la perna, così come tutte le altre carni, ma se dobbiamo giudicare dai bassorilievi delle porte d'ingresso di Reims, si direbbe che i Galli conoscessero bene l'arte di conservare e insaccare le carni suine: vi sono raffigurati "norcini al lavoro" .
Non so dire con esattezza quando sia cominciata a spandersi la fama del prosciutto parmigiano in Italia e nel mondo: certo prima che Loderingo Bonanni, langhiranese, importasse a Parigi, nei primi anni dell'Ottocento, prosciutti e salami che fecero la delizia del gourmet parigino Grimod De la Reynière. Quel che è certo è che una testimonianza della fine del Cinquecento (una poesia latina di Pomponio Torelli, edita nel 1600) ci porta già nella zona tipica (Montechiargolo nella media Val d'Enza), e accenna al modo attuale di stagionatura e slatura.
Quanto alla zona di produzione del nostro prosciutto tipico, direi che ormai essa è ben limitata alla media ed alta Val d'Enza e media e alta Val Parma, con Val Bardea e Val Parmossa, media Val Baganza (Strada del Prosciutto); "appena più in là dice il Molossi, non va bene". Naturalmente, i produttori di altre zone emiliane fingono di non credere alle proprietà del vento marino che sale dalle valli della Magra e del Taverone, attraversa i Passi del Lagastrello e della Cisa "dove i monti sono di natura carsica e quindi asciugano l'eccesso di sapore marino. Poi venendo giù dal crinale appenninico, prende aroma dai castagneti".
Quanto alla preferenza da dare al prosciutto con l'osso o disossato, crudo o cotto, mi sembra evidente che il prosciutto crudo integro offra il meglio, per diversi motivi che qui è fuori luogo elencare.
Delle qualità dietetiche e nutritive del prosciutto non è certo il caso di parlare qui; chiunque, profano o medico, le conosce perfettamente; quel che voglio aggiungere è che doi tanto in tanto qualche commerciante della Parma storica risponde al cliente che gli chiede se il prosciutto è dolce, massime come "al parsutt, par tgniros, al vol salè !" (il prosciutto per conservarsi, deve essere salato); oppure: "salè no, savorì si" (salato no, ma saporito si).
Tutte storie; il buon Prosciutto, quello che ha ottenuto giusta notorietà, deve risultare dolce e profumato.

Tratto da:
Guglielmo Capacchi, la Cucina Popolare Parmigiana, Silva Editore, Parma

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