giovedì 10 settembre 2009

Roccabianca un Castello da scoprire


Fra i meravigliosi e fiabeschi castelli della bassa parmense, vi è sicuramente Castello o Rocca di Roccabianca. Strada del Culatello
Fu Pier Maria Rossi, feudatario del paese, a volere l'erezione della Rocca nel sesto decennio del XV secolo: la leggenda vuole che il condottiero la dedicasse all'amante Bianca Pellegrini, da cui il nome derivò il toponimo del paese, Roccabianca.
Si tratta di un castello di pianta regolare, quadrangolare, con i lati lunghi perpendicolari alle strade del paese che sboccano nella piazza del mercato (piazza Minozzi), in modo tale da trovarsi nel cuore dell'abitato.
La natura evidentemente non solo romanticamente residenziale ma anche spiccatamente difensiva, e non avrebbe potuto essere altrimenti per un feudo posto all'incrocio di lotte sanguinose fra Rossi e Pallavicino, si nota dai possenti speroni angolari sull'asse meridiano, dal podio a tronco di piramide su cui poggia il fortilizio, dagli spioventi. Al di sopra del blocco murario spicca il mastio a due livelli, posto nel cortile dalla parte opposta dell'ingresso principale: la struttura è analoga a quella di Torrechiara, Noceto, Varano Melegari e Castelguelfo. (immagini)
Gli elementi architettonici del complesso rivelano comunque le composizioni in epoche differenti e i diversi rimaneggiamenti. All'interno si trovavano una volta preziosi e celebri affreschi attribuiti a Niccolòda Varallo, con le Storie di Griselda (tratte dalla nota novella decameroniana) e il Ciclo astrologico, voluti da Pier Maria Rossi, e nel 1897 staccati e trasferiti nel Museo del Castello Sforzesco a Milano. Il soffitto della sala del primo piano dove erano ospitati gli affreschi conserva ancora un fondo azzurro-firmamento forse allusivo alle gesta rossiane.
Recentemente restaurata, con recupero di soffitti a cassettoni del tardo XV secolo, il Castello di Roccabianca, è di proprietà privata ed è visitabile solo su appuntamento.
Visita il sito: http://turismo.parma.it/

martedì 23 giugno 2009

Il Nocino di Noceto fra storia e leggenda

Ettore Mossini "la Rocca di Noceto"

Il Nocino liquore tonico e corroboante è un caratteristico infuso parmigiano che si aggiunge e completa onorevolmente i preziosi e prelibati prodotti tipici di cui è ricca la terra parmense.

Scopri Parma su: http://www.nonsoloprosciutto.com/cms/it

La storia di questa singolare bevanda ha origini remotissime che risalgono addirittura al 55 a.c. epoca in cui Cesare conquistò la Britannia assoggettandola all'Impero Romano.
Una delle popolazioni indigene, quella dei "Picti" (gente dipinta) che abitava le basse terre della Scozia, non si arrese all'invasore, ma intraprese con esso una cruenta guerra. Prima di iniziare le battaglie contro le milizie romane, i Picti avevano l'usanza di sorseggiare una bevanda scura a base di noci allo scopo di ottenerne forza e coraggio. Ben presto i Romani impararono ad apprezzare quel liquore ed anche a fabbricarlo. Per la Britannia i Picti furono terribilli nemici tanto che per proteggersi dalle loro scorribande venne innnalzato il famoso "Vallo di Adriano". Nell'anno 187 a.c. il console Marco Emilio Lepido tracciò la via Emilia e costruita la strada, fu necessario creare punti di riferimento e collegamento per le milizie ed i pellegrini che vi transitavano. A tale scopo partirono da Roma 2000 cittadini che si stabilirono fra Piacenza e Modena formando presidi fissi che si trasformarono, con il tempo, in vere e proprie comunità. La credenza popolare sosttiene che coloro i quali presero possesso del territorio pianeggiante posto sulla sponda sinistra del fiume Taro vi scoprirono un luogo nel quale erano abbondantissimi gli alberi di noci, e per detto motivo, lo battezzarono "Noxetum", Noceto (grazioso paese situato lungo la Via Francigena - nella provincia di Parma). I suoi abitanti romani, memori degli insegnamenti dei loro avi, molti dei quali reduci dalla Britannia, approfittando della presenza di numerosissime piante di "Glans Jovis" iniziarono a produrre quel liquore universalmente appellato "Nocino".

La tradizione insegna che perer ottenere un prodotto eccellente si dovrebbero però osservare alcune "regole particolari": una mano femminile, a piedi scalzi, dovrebbe raccogliere le noci bagnate dalla rugiada, la notte di San Giovanni (23 Giugno), il frutto dovrebbe quindi essere tagliato con una lama di legno di noce e non di ferro. La notte di San Giovanni è fra le più corti notti dell'anno e viene definita dagli erboristi "notte del tempo balsamico". La tradizione vuole che Rolando Rossi, cavaliere dell'Ordine Gerosolimitano e signore di Noceto nel 1448, fosse ghiotto della bevanda a base di noci "noxinum" che gli venicva diligentemente preparata dalle castellane del borgo. Anche Maria Luigia, duchessa di Parma, quando dimorava nella regggia di Colorno, la sua piccola Versailles" pareva non disdegnasse degustare dopo i pasti un buon bicchiere di Nocino.

lunedì 6 aprile 2009

La Storia del Prosciutto di Parma


La storia del prosciutto, dalle nostre parti, è antica certamente quanto l'allevamento del maiale, di cui si sono trovate tracce sicure perfino nelle terramare; c'è da chiedersi però in quale epoca lo si consumasse nella sua veste attuale, secondo la definizione dei vecchi dizionari: "coscia del porco salata e conservata in modo che prosciughi, per poi mangiarsi a fette".
I Romani certamente cuocevano la perna, così come tutte le altre carni, ma se dobbiamo giudicare dai bassorilievi delle porte d'ingresso di Reims, si direbbe che i Galli conoscessero bene l'arte di conservare e insaccare le carni suine: vi sono raffigurati "norcini al lavoro" .
Non so dire con esattezza quando sia cominciata a spandersi la fama del prosciutto parmigiano in Italia e nel mondo: certo prima che Loderingo Bonanni, langhiranese, importasse a Parigi, nei primi anni dell'Ottocento, prosciutti e salami che fecero la delizia del gourmet parigino Grimod De la Reynière. Quel che è certo è che una testimonianza della fine del Cinquecento (una poesia latina di Pomponio Torelli, edita nel 1600) ci porta già nella zona tipica (Montechiargolo nella media Val d'Enza), e accenna al modo attuale di stagionatura e slatura.
Quanto alla zona di produzione del nostro prosciutto tipico, direi che ormai essa è ben limitata alla media ed alta Val d'Enza e media e alta Val Parma, con Val Bardea e Val Parmossa, media Val Baganza (Strada del Prosciutto); "appena più in là dice il Molossi, non va bene". Naturalmente, i produttori di altre zone emiliane fingono di non credere alle proprietà del vento marino che sale dalle valli della Magra e del Taverone, attraversa i Passi del Lagastrello e della Cisa "dove i monti sono di natura carsica e quindi asciugano l'eccesso di sapore marino. Poi venendo giù dal crinale appenninico, prende aroma dai castagneti".
Quanto alla preferenza da dare al prosciutto con l'osso o disossato, crudo o cotto, mi sembra evidente che il prosciutto crudo integro offra il meglio, per diversi motivi che qui è fuori luogo elencare.
Delle qualità dietetiche e nutritive del prosciutto non è certo il caso di parlare qui; chiunque, profano o medico, le conosce perfettamente; quel che voglio aggiungere è che doi tanto in tanto qualche commerciante della Parma storica risponde al cliente che gli chiede se il prosciutto è dolce, massime come "al parsutt, par tgniros, al vol salè !" (il prosciutto per conservarsi, deve essere salato); oppure: "salè no, savorì si" (salato no, ma saporito si).
Tutte storie; il buon Prosciutto, quello che ha ottenuto giusta notorietà, deve risultare dolce e profumato.

Tratto da:
Guglielmo Capacchi, la Cucina Popolare Parmigiana, Silva Editore, Parma

Nasce a Parma NonSoloProsciutto


I buongustai d’Italia e gli amanti dei prodotti tipici dispongono da oggi di una opportunità in più per soddisfare i loro palati e conoscere, contestualmente, in maniera intelligente, la storia e le bellezze del territorio parmense.
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